(Monsummano, Pistoia, 1809 - Firenze 1850) poeta italiano. Nacque da agiata famiglia e studiò legge a Pisa, dove partecipò a riunioni patriottiche simpatizzando per i repubblicani. Più tardi, anche per influenza di A. Manzoni e di altri scrittori lombardi conosciuti a Milano nel 1845, abbracciò le idee dei moderati, cui restò fedele anche quando partecipò agli eventi del 1848 in Toscana. Morì di tisi in casa dell’amico Gino Capponi. La sua fama è legata a quel centinaio di poesie (la raccolta dei Versi editi ed inediti uscì postuma nel 1852) che egli stesso chiamò «scherzi» perché di prevalente intonazione satirica e giocosa. In quelle composte tra il 1831 e il 1845 domina la satira morale e sociale, espressa mediante la caricatura di alcuni tipi: il voltagabbana (Il brindisi di Girella), l’arrivista (Gingillino), il becero arricchito (La vestizione); ovvero attraverso più ampi affreschi di vita toscana (Il ballo, La scritta ecc.). Nelle più tarde prevale invece l’ispirazione politica, con feroci attacchi ai democratici estremisti, in particolare a F.D. Guerrazzi (L’arruffa-popoli, I più tirano i meno ecc.). Piuttosto rare le poesie sentimentali, tra le quali ebbero una certa notorietà La fiducia in Dio e Affetti di una madre. Un caso a sé è il celebre Sant’Ambrogio, dove il tono meditativo e commosso si fonde con quello scherzoso e il motivo patriottico è svolto manzonianamente in chiave di cristiana fraternità. Nel secolo scorso G. fu ammirato anche come prosatore (Cronaca dei fatti di Toscana, postuma, 1890), nonché per la raccolta dei Proverbi toscani (postumi, 1853) additata come esempio di lingua viva e frizzante, ma frutto in realtà di una ricerca fin troppo compiaciuta. Il suo Epistolario è stato pubblicato nel nostro secolo.G. fu un acuto osservatore della società del suo tempo, un interprete fedele degli spiriti moderatamente rivoluzionari della piccola borghesia toscana cresciuta sotto i governi piuttosto tolleranti dei granduchi Ferdinando III e Leopoldo II. La sua poesia, di natura critica più che satirica, mira alla concretezza e al buon senso, ma si dimostra incapace di dar vita a veri personaggi e crea solo figurine talora felici ma di tenue spessore. Entro questi limiti G. occupa un posto notevole nella letteratura italiana dell’Ottocento: la sua lezione di schietta aderenza alle cose fu accolta da scrittori come C. Tenca e G. Carducci, che vollero opporsi al falso sentimentalismo di molti poeti romantici.